One Crodino Spritz, per favore

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One Crodino Spritz,
per favore

RRespiro a fondo l’aria pulita dalla pioggia e il profumo dell’arancio nel cortile all’angolo mi fa subito sentire a casa.

Attraverso la strada. Il bar Biondo è lì, come sempre. Da anni, ormai, tutti lo chiamano Bar da Dino.

Allungo il braccio verso la porta, ma Paolo mi precede.

«Dino, buon
compleanno!
Ma che ci fai qui? Ti aspettavamo
tra un'ora»

Mi dà una pacca sulla spalla e mi trascina dentro. Le pareti gialle riflettono la luce del sole che attraversa le vetrate. Il bancone è in ordine, le file di bottiglie pulite e allineate. Tutto dice: sei nel posto giusto.

Andrea fa ruotare un panno dentro un bicchiere. Gli sorrido. «Ti do il cambio.»

Lui scuote il capo: «Dubito che oggi te lo permetteremo», e indica l’ingresso.

Marta e Biagio varcano la soglia e mi abbracciano con il solito entusiasmo.

«Qui abbiamo
un'icona
degli anni
sessanta
che fa
sessant'anni

Non so se mi spiego!»

«Auguri, eterno giovane. Quante volte mi avrai servito?»

Nemmeno io so rispondere. In questo bar ho servito migliaia di avventori e imparato a riconoscerne la giornata dal modo in cui fanno il primo ordine.

Ci accomodiamo al tavolo e Andrea ci raggiunge, mani dietro la schiena. «Oggi vogliamo ringraziarti, Dino. Per tutto.» Sorride e sfoggia un Crodino Spritz. «Stavolta lo serviamo noi a te.»

Andrea me lo versa in un calice, con ghiaccio e arancia. Chiudo gli occhi e porto il bicchiere alle labbra: il liquido fresco mi richiama i più bei ricordi della mia vita. Come il giorno in cui ho conosciuto Jane, dieci anni fa. Era entrata per provare the famous analcolico di cui tutti parlano, you know? e da lì non abbiamo più smesso di parlare. Per giorni. Poi è tornata a New York. E io sono rimasto.

«Ve la ricordate Jane?» Mi schiarisco la voce. «Chissà adesso come se la passa.»

Biagio ride. «Guarda, secondo me non sente più a furia di avere le orecchie che fischiano.»

Io e Paolo scoppiamo a ridere. Marta, invece, storce il naso. «Ma smettila!», lo rimprovera. «Jane se ne sta tranquilla nella sua Manhattan. Dino, com’era bella. È vero che ti aveva chiesto di seguirla?»

«Sì», si intromette Paolo. «E gli aveva anche promesso che non avrebbe mai più bevuto un Crodino non servito da lui.»

Sorrido: «La leggenda vuole così.»

«Ma allora vai», ride Marta. «Cosa aspetti?!»

La porta del bar si apre. Entrano altri amici, con regali e sorrisi.

Un paio d’ore e la festa sfuma. È ora di andare.

Paolo mi affianca all’ingresso. «Allora, quando parti per New York? Dai, che hai già il biglietto stampato in faccia.»

«Non ti arrendi, eh?»

Fa spallucce. «Il fatto è che il primo Crodino non si scorda mai.»

Rido, ma Paolo non ha tutti i torti. Ho ancora l’indirizzo di Jane. Un viaggio potrei farlo.

Forse, è tempo anche per me di attraversare l’oceano.

La porta della splendida brownstone di Jane è chiusa e sembra avere tutta l’intenzione di lasciarmi qui fuori, tra le strade del Greenwich Village.

Busso di nuovo, ma niente. Scendo in strada. Ok, tentativo numero uno fallito. Sono le 17:00, l’ora in cui Jane amava frequentare il suo bar preferito.

Lo raggiungo a passo sostenuto e la cerco con lo sguardo. La confusione è tanta, ma lei non si vede. Dopo dieci anni, tutto è possibile: magari si è sposata, trasferita, oppure ha aperto un bistrot vegano in Canada.

Un cameriere fermo a segnare un ordine su un tablet si avvia verso il bar e un volto emerge dal tavolo alle sue spalle.

È lei.
È proprio lei.

Un lungo tubino costellato di limoni avvolge le sue forme. Sempre elegante. Sempre bellissima.

Mi avvicino, il cuore in gola. E una vocina dentro mi punzecchia: bella pensata venire fin qui, eh?

Jane si gira. Mi guarda. Spalanca gli occhi, immobile.

Mi chiedo se si alzerà e andrà via, se storcerà il naso o mi sorriderà. Invece, alza un dito per richiamare il cameriere.

Si porta la mano alla bocca e si schiarisce la voce:

«Come to think of it...»

Si volta di nuovo verso di me. Sorride.

«One Crodino Spritz, per favore.»

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